Sta a ciascuno di noi rimanere con gli occhi aperti per non perdere queste tracce per essere consapevoli, e non burattini manovrati senza capacità critica.
Su questo blog c'è qualche traccia, il resto non dovete mai smettere di cercarle voi.

venerdì 9 aprile 2010

Comunicato UNA Civitanova: I rigattieri del randagismo 2


Cercandola, converrà tenere presenti alcune circostanze che sono sotto gli occhi di tutti, solo a voler fruire di informazioni ampiamente disponibili.

Non tutti i rifugi sono in crisi in Germania, semplicemente perché non è vero che, come viene detto alla e dalla signora Benigni, i canili siano esclusivamente comunali. Una rete fittissima di rifugi (Tierheime), parallela a quella pubblica, e di stalli (Pflegestelle) la cui fumosa condizione giuridica, testimoniata dai rapporti della TVT, è sotto l’esame delle autorità, prospera sotto la gestione di una miriade di organizzazioni piccole e grandi. Questi luoghi di detenzione degli animali non sono mai stracolmi, perché hanno un rapido ricambio: nonostante la crisi economica e i picchi dell’abbandono che affliggono la Germania non meno di qualunque altro Paese, arrivano a piazzare (termine che ci sembra più esatto di “affidare”) quantità di animali che avrebbero del miracoloso se le si inserisse nel normale meccanismo degli affidi. Ne sono un esempio i 2000 cani piazzati in sei anni, vantati dalla sola (ancora) piccola Hundeherzen e smistati attraverso un sistema di stalli. Gli animali importati vanno, beninteso, anche in rifugi comunali, nei quali può avvenire che siano soppressi, anche in blocco, secondo i criteri previsti dalla legge: per inaffidabilità dovuta al carattere o allo stress patito, per patologie infettive come le malattie mediterranee, che creano preoccupazione per il loro ovvio aumento in Germania... e così via (basta consultare gli Hundegesetze dei vari Länder).

Particolarmente esposti alla soppressione sono i cosiddetti Kampfhunde, i cani appartenenti a razze considerate pericolose. È vietata in tutto il territorio l’importazione di amstaff, bull terrier, pitbull, staffordshire bull terrier; per altre razze il divieto varia secondo il Land. Stiamo però parlando di razze: molti meticci importati, non censiti ovviamente fra di esse, possono rientrare nelle stesse caratteristiche psicofisiche e correre gli stessi rischi. I Kampfhunde sono i soli per i quali sia obbligatoria l’iscrizione a un’anagrafe canina privata.

In Germania, come nel resto d’Europa, non esiste infatti anagrafe canina pubblica come in Italia. TASSO non è, come ci viene detto, “una sorta di anagrafe canina mondiale” che permetta di ritrovare un cane tedesco perso in Cile (visto il raggio d’affari di alcune grandi organizzazioni tedesche, consideriamo più probabile che un cane cileno scompaia in Germania): è soltanto una delle anagrafi private locali, alle quali, ripetiamo, l’iscrizione NON è obbligatoria. Esistono poi in rete database nei quali è possibile reperire i microchip di alcune anagrafi, compresa TASSO. Se chi compra un cane dalle organizzazioni importatrici assume – nel caso che sia una famiglia – l’impegno ad iscriverlo, e posto che lo rispetti, questo significa solo che i cani sono ceduti nella piena deregulation della trattativa privata: senza alcuno dei controlli pubblici prescritti dalla legge del nostro incivile Paese. E questo indipendentemente dal fatto che abbiano o meno un’identificazione di partenza, sotto la quale infatti, se e quando vengono “affidati” regolarmente in Italia, rimangono assai spesso intestati nella nostra anagrafe alle persone che li hanno prelevati – a dimostrazione del fatto che l’affido italiano funge semplicemente da bolla di consegna.

Detto fra noi, l’esperienza di consultazione delle anagrafi private estere, spesso vana, ci insegna che moltissimi cani partiti dall’Italia anche con identificazione hanno poi seguito il destino di qualsiasi prodotto di consumo immesso sul mercato privato: sono entrati cioè nella piena e riservata disponibilità dell’acquirente, così come erano entrati in quella del venditore una volta usciti dal territorio italiano. Solo lui potrebbe, a sua decisione, mostrare l’esistenza in vita e il benessere dell’animale di sua proprietà. Ed è un libero privato in un Paese sovrano. Se le stesse organizzazioni importatrici esibiscono alle autorità italiane la “documentazione”, risibile agli occhi della legge, di qualche fotografia è solo perché, provenendo da un sistema diverso, altro non possono fornire – né possono concepire – che “prove” casalinghe di carattere privato. È solo un modo per dare qualche soddisfazione alle pretese un po’ bislacche di fornitori di cui ci si sforza di conservare la collaborazione. È una normale, comprensibilissima strategia commerciale.

In margine: poiché ogni attività genera un indotto, per il trasporto in Germania ci si avvale anche di trasportatori per così dire “specializzati” che, lavorando per denaro sulla quantità esattamente come fanno per i trasporti di cuccioli dall’Est, stipano spesso in veicoli di fortuna cani sofferenti e privi dei requisiti necessari all’espatrio per far loro compiere viaggi infernali ma comunque redditizi. Gli animali che arrivano sono poi distribuiti alle organizzazioni committenti. Per alcuni di questi carichi, fermati dalle autorità tedesche, girano voci in Germania secondo le quali fra i clienti in attesa a destinazione o lungo le autostrade si sarebbero trovati anche cosiddetti “allevatori” non meglio qualificati. Come tali le prendiamo, per ora. Ma i casi sempre più frequenti di fermo di carichi simili dimostrano una volta di più come i cani spediti all’estero da un Paese fornitore, qualunque siano le condizioni in cui vi fossero tenuti, entrino in un sistema a parte.

Un po’ sottotraccia, in forma allusiva, si insinua fra le “informazioni” date alla e dalla signora Benigni quella secondo cui “non è possibile prendere cani dai canili per la sperimentazione”. Avremmo voluto tralasciarla, perché ci importava mettere in luce le circostanze fondanti da cui, come si vede, può conseguire ogni effetto, compreso l’uso per sperimentazione. Ma poiché lo slogan “gli italiani dicono che i cani sono portati in Germania per la vivisezione” ha acquisito gran fortuna nelle campagne scatenatesi negli ultimi due anni, in risposta al risveglio dell’attenzione sul fenomeno esportazioni (non per nulla al termine “sperimentazione” vi si sostituisce quello di “vivisezione”, di sicuro effetto orripilante e perciò ridicolizzante), ci soffermeremo un attimo. In Europa si comprano e si vendono normalmente cani, anche random source, per la sperimentazione. Il bacino industrializzato europeo, non solo tedesco, ne ha bisogno anche per le attività universitarie (per inciso, secondo la TVT “reggono” particolarmente bene i meticci di labrador e di foxhound: Merkblatt 98, Tiergerechte Haltung von Versuchshunden). Prima del Tierschutzgesetz i cani accalappiati potevano finire direttamente nei laboratori; in seguito il Deutsche Tierschutzbund, secondo fonti tedesche, ha continuato a passare agli istituti di ricerca le segnalazioni di smarrimento di animali identificati che gli pervenivano. Ma ci limitiamo qui ai dati che ci riguardano più direttamente e che sono ormai reperibili ovunque anche in Italia: il Tierschutzgesetz consente l’uso a fini di ricerca di cani random source importati dall’estero (TSchG § 11a, § 9) e le sue norme attuative consentono la cessione a fini di ricerca di un animale malato da parte del proprietario (Allgemeine Verwaltungsvorschrift zur Durchführung des Tierschutzgesetzes, 9.2.1.3.2).

Teniamoci dunque ancorati alla realtà. I media tedeschi danno frequente testimonianza di maltrattamenti, crudeltà e uccisioni, abbandoni col loro picco estivo, scoperte drammatiche di rifugi lager e di casi di animal hoarding, sparizioni di animali, cattivo allevamento (dimenticavamo: dei 345.000 cani di razza venduti ogni anno, solo un terzo proviene da allevatori regolarmente iscritti al VDH - Verband für das Deutsche Hundewesen, l’ENCI tedesco, e in più si vendono all’anno, sempre da dati del VDH, 155.000 meticci). In più si moltiplicano, veramente a dismisura negli ultimi tempi, i procedimenti giudiziari nei confronti di Tierschutzvereine che si scopre esser dedite esclusivamente al guadagno sulla pelle degli animali, alla truffa nella raccolta delle offerte e all’arricchimento personale. Vogliamo con ciò parlar male della Germania? Certo no, anzi l’attenzione mostrata a questi fenomeni è indice dell’esistenza di una sensibilità vigile e rigorosa nell’ambito della pubblica opinione, se non in quello dei comportamenti privati. Vogliamo solo dire che la Germania non è né migliore né peggiore di un altro Paese. Ridimensioniamo dunque l’immagine paradisiaca, tutta propagandistica, che chi si dedica all’importazione e alla vendita dei nostri cani pubblicizza qui da noi… non certo in Germania, dove invece pubblicizza un’immagine infernale dell’Italia, altrettanto propagandistica, finalizzata alla raccolta di offerte e donazioni e alla conquista del mercato.

Una volta azzerate infatti le due propagande speculari, frutto della stessa strategia, rimane non collocabile un dato decisamente ingombrante: il drenaggio torrenziale e ininterrotto di cani di ogni età, dimensione e condizione (con un incremento crescente di animali anziani e malati) dai molti Paesi citati sopra verso una Germania che, sempre secondo dati del VDH, risultava nel 2006 la terzultima in Europa per numero di proprietari di cani (13% delle famiglie), sorpassata ampiamente anche dall’Italia. Consideriamo pure che il VDH operi su propri dati (che però, come si è visto, comprendono anche cani meticci) e concediamo la tara: a) dello smistamento (cioè del semplice spostamento della questione) verso altri Paesi; b) del ricambio (sia pure un po’ veloce) per decesso naturale e per soppressione; c) dello sfalsamento cronologico (irrisorio) dal 2006 al 2010; d) delle larghissime zone d’ombra lasciate dalle anagrafi canine private (nel caso queste si siano aggiunte come supporto statistico). Non ci siamo comunque, soprattutto se aggiungiamo che, ancora da fonti tedesche, in Germania spariscono annualmente almeno 123.000 cani (dato proiettabile fino a 300.000) senza lasciare traccia alcuna, foss’anche di smaltimento.

A questo punto, questa Germania diventa un Paese un po’ meno “come un altro”, così come lo diventano gli altri Paesi circonvicini nei quali sono trasportati e smistati i nostri animali con le stesse modalità e con la stessa piattaforma operativa. Diventa anzi un Paese nel quale non si vede perché si dovrebbero inviare gli animali alla cui tutela siamo preposti nei termini e nei modi sanciti dalle nostre leggi, visto che quello a cui pericolosamente somiglia è semmai il Paese dei Balocchi di collodiana memoria. Ancora una volta: cerchiamo di mettere in opera nel pubblico almeno il giudizio che useremmo nel privato se dovessimo comprare un’auto usata.

Questo ci aiuterà anche a non lasciarci convincere, nel vortice della comunicazione che soffoca oggigiorno la riflessione, da voci che si tende ad accreditare solo perché scaturite da sedi istituzionali. La “tracciabilità” dei cani proposta dall’attuale Ministero della Salute con lo scopo di “regolamentare” le esportazioni (considerate implicitamente – il che ci sconcerta non poco in quella sede – come una delle soluzioni del randagismo), e improntata, non per nulla, al sistema TRACES dei trasporti commerciali è, lo diciamo con tranquilla franchezza, una favoletta. Un protocollo TRACES dà per sicuro e controllabile solo il primo punto di arrivo degli animali, che è quello che già conosciamo senza bisogno di protocolli; e crediamo di aver chiarito a sufficienza quante siano le possibilità che dei cani si perda ogni traccia nelle fasi successive. Altrettanto inconsistente ai fini della chiarezza (semmai conveniente ai fini di un riciclaggio degli animali) è l’espediente di mantenere la proprietà del cane usato da un certo numero di organizzazioni (peraltro già in via di ridimensionamento grazie al ricorso crescente ai tribunali tedeschi): abbiamo già detto quanto sia indebito attribuire valore pubblico a “garanzie” considerate più o meno valide da un commerciante privato. L’interrogazione presentata di recente al Governo dalla senatrice Maria Pia Garavaglia usa un linguaggio assai più duro del nostro e si conclude rifutando in blocco questo incredibile progetto di legittimazione “in quanto strumento che, se attuato, finirebbe per distruggere il senso stesso di una legislazione a tutela degli animali”. Crediamo che un ex-Ministro della Sanità, che ha fatto fronte a suo tempo al fenomeno quando, già virulento, non aveva però raggiunto lo sviluppo attuale, sappia con cognizione di causa di cosa stia parlando.

(continua)
http://www.unacivitanova.altervista.org/comunicato_unacivitanova.html

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