Certo, la Germania e l’Italia sono diverse nel modo di far fronte sul posto all’abbandono e al randagismo. La prima non ha tanti randagi autoctoni quanti la seconda, e la ragione è semplice: la prima applica le sue leggi che prescrivono il ricorso alla soppressione, la seconda non applica a dovere le sue, ben più avanzate ma ben più impegnative, che si sono lasciate alle spalle questo vantaggioso ma barbaro espediente e lo sostituiscono con la prevenzione, l’incentivo alla sterilizzazione, l’anagrafe canina pubblica e obbligatoria. Diciamo che dal punto di vista di una moderna tutela degli animali entrambe sono in difetto, la prima per sua decisione, la seconda per sua inadempienza.
Ma c’è, sempre sul piano ufficiale, una diversità più profonda: al pari di altri Paesi, la Germania, in armonia con le esigenze del suo modello di sviluppo economico, lascia un enorme spazio gestionale al settore privato e alle logiche di mercato; in Italia invece qualunque attività che si definisca di tutela degli animali discende, è riconducibile a – o è controllata da – una funzione PUBBLICA. Tutto ciò non è, non deve essere per noi senza significato. Anche se nella pratica non possiamo non constatare che il modello “europeo” dell’impresa privata, con il suo peso, le sue seduzioni e i suoi ricatti, passa agevolmente le frontiere, affascina gli impreparati e attira gli intraprendenti, scivola e s’insinua fra le pieghe della legge e al bisogno la elude, riuscendo a creare anche alleanze insospettate grazie alle scorciatoie che propone a istituzioni pubbliche alle prese con doveri scomodi. E parliamo, tanto per esser chiari, del frequente abbandono degli animali tanto a gestori privati con pochi scrupoli quanto a raggruppamenti improvvisati, privi di retroterra culturale e di senso della legalità: soggetti, tutti, che per una ragione o per l’altra finiscono per divenire validi collaboratori del saccheggio organizzato del nostro territorio e del nostro prezioso patrimonio legislativo.
In verità, chi si presenta dall’estero a prelevare carichi di animali conserva in genere un approccio abbastanza disinvolto alle leggi del suo proprio Paese, per non parlare di quelle europee; e una voluta, pervicace noncuranza (da trasformare all’occorrenza in disprezzo palese e impunito…) verso le regole del Paese di rifornimento. Perché dovrebbe essere altrimenti, quando l’esempio viene da chi dovrebbe rispettarle e farle rispettare? Ciononostante, ci è capitato d’imbatterci in lamentele come questa: “Con un po’ di difficoltà abbiamo risolto le formalità che si devono seguire per lo Stato italiano se si vogliono portare cani all'estero (formalità che si devono seguire in tutta l’Unione Europea, N.d.R.). È strano. Se i cani in Italia crepano, non importa a nessuno, ma se devono andare in Germania, allora si creano problemi a non finire agli animalisti tedeschi” (Tierrundschau – Zeitung der Tierschutzliga Deutschland, 61). Messa da parte l’ovvia destinazione a un pubblico disinformato, rimane il mugugno sprezzante perfino su quello che è in realtà l’escamotage paradossalmente più “legale” praticato nei prelievi: l’affido, formalmente ineccepibile se estrapolato dal contesto, a persone fisiche che ne beneficiano come privati cittadini, per poi però tornare in patria come semplici prestanome delle loro organizzazioni e destinare l’animale alla vendita. Il tutto in dispregio dell’unica legge che regoli il movimento NON COMMERCIALE degli animali da compagnia: il Regolamento Europeo 998/2003, che è quello che si applica agli spostamenti nel territorio dell’Unione di qualunque proprietario con l’animale che gli appartiene e che è destinato a vivere con lui. Fino a quando si vuol continuare a rifutare di ammettere che questi affidi, atti pubblici nel nostro Paese, sono la maschera italiana di un commercio normalmente praticato all’estero: una maschera necessaria solo finché ci si trova sul nostro territorio?
Ma perché stupirci? Il “sistema europeo”, tutto privato e incontrollato, impera già in Italia nel vorticoso movimento di animali che non di rado confluisce nei canali di esportazione: nei trasferimenti disinvolti dal Sud al Nord e non solo, dall’estero all’Italia e non solo, con l’impiego di prestanome, microchippature occasionali, libretti sanitari di fortuna, staffette, punti di raccolta e stallo, smistamenti ai caselli autostradali, destino spesso incerto – e non di rado pericoloso – per gli animali. Basta fare un giro fra appelli e corrispondenze dei cosiddetti “volontari” per rendersi conto che si tratta di vere e proprie attività, con un impiego quasi totale del tempo di chi vi si dedica. Ma sono attività che lasciano il randagismo al Sud sempre nuovo e sempre immutato come la tela di Penelope, e, per dirla tutta, siamo giunti a domandarci se abbiano anche un rapporto con il recente, improvviso impennarsi degli ingressi nei canili del centro-nord. La buttiamo lì: siamo sicuri che se questi cani potessero parlare parlerebbero con l’accento del luogo…?
C’è una qualche forma di commercio anche dietro tutto ciò? Non lo sappiamo (se sì, non sappiamo in che misura e percentuale): altro non possiamo dire per ora. Ciò che ci colpisce, anche e soprattutto nei non pochi della cui buona fede non vogliamo dubitare, è la sostituzione totale di una formazione professionale, giuridica e civica con una spinta autoreferenziale di improvvisazione e di impreparazione che li porta purtroppo a collaborare, più o meno inconsapevolmente, con organizzazioni ben più coscienti di ciò che fanno.
Solo un esempio recente: la femmina incrocio collie paraplegica, chiamata Cipollina, ospitata fino a qualche tempo fa nel rifugio di Tolentino di nuova gestione. Dopo molti appelli in rete e dopo contatti procurati, sembra, da generosi intermediari, “il miracolo è avvenuto”: la cagna è stata portata tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo (con procedura diretta di affido, e a chi? o con passaggi d’intestazione successivi?) in “una meravigliosa oasi nella Maremma toscana, gestita da una signora tedesca che ospita solo animali menomati fisicamente… Insomma… per Cipollina c’è stato il lieto fine” (Corriere Adriatico). Per la cronaca, la signora in questione gestisce in realtà uno dei più grandi punti di raccolta a fini di esportazione dell’Italia centrale, che incamera e smista animali giovani e anziani, sani e malati, da buona parte del territorio nazionale, dalla Spagna e dall’Est, e si qualifica “partner operante in collaborazione” con la potente ETN, l’organizzazione tedesca che ha lanciato di recente, in sostegno alle esportazioni, una vasta e violenta campagna contro l’Italia. Per inciso, l’ETN era destinataria di uno dei più grossi carichi di randagi spagnoli fermati recentemente in Germania per le spaventose condizioni di trasporto e per gli illeciti nella documentazione. Ora, chi si è messo in contatto con la suddetta signora per averne visto, come dichiara, il sito web non poteva ignorare di che cosa si occupasse. Vorremmo con tutto il cuore che ignorasse che la signora, mentre dava risposta favorevole al suo appello, diffondeva dati, storia e foto della cagna ai suoi collaboratori a nord delle Alpi, dichiarando lacrimevolmente di non potersi accollare tutti i casi di emergenza che le si presentano. Lo vorremmo, perché se così non fosse ci si dovrebbe chiedere perché mai abbia riferito alla stampa che la vicenda di Cipollina aveva trovato in Toscana un lieto fine e non magari una rapida tappa di transito. Forse ignora comunque, o forse no, che la signora non si è trattenuta dall’esprimere ai suoi partner – come da copione – apprezzamenti poco lusinghieri, ma molto funzionali all’uopo, sulle cure prestate all’animale dalla Facoltà di Veterinaria di Camerino e sul canile stesso di Tolentino. Questo è in genere il preludio degli attingimenti – o forse non è già più un preludio? Solo il canile di Tolentino può dirlo. Certo, a questo punto saremmo curiosi di sapere dove sia Cipollina, che non compare nei pur quasi quotidiani aggiornamenti in rete degli ingressi nella meravigliosa oasi; e, qualora fosse lì, se e quanto vi resterà. Ma questa, della quale, ripetiamo, il caso è solo un esempio, è materia spettante a chi è investito della pubblica funzione di tutela degli animali e semmai, per sua delega, a chi più direttamente deve occuparsi dell’applicazione saggia e corretta della lettera e dello spirito della normativa.
Giacché, sia chiaro, l’adozione internazionale non è preclusa, ferme restando l’autonomia decisionale di Regioni, Province e Comuni e la valutazione degli addetti al benessere degli animali tenuti in custodia. Deve trattarsi, s’intende, di adozione: cioè dell’affido, integrato dai necessari e reali controlli di cui si fa promotrice la circolare Veronesi del 2001, a persona che si presenti sul luogo e sottoscriva l’impegno a prendere con sé – definitivamente e senza secondi fini – e a detenere presso il proprio domicilio l’animale desiderato, trattandolo secondo i suoi bisogni materiali ed etologici.
È al fine del benessere animale, di cui è parte l’affido responsabile, che la comunità, tramite le istituzioni, investe pubblico denaro, pubbliche energie e pubblica progettualità. A questo stesso fine si costituiscono associazioni senza fini di lucro, che con l’atto stesso dell’iscrizione agli Albi regionali si impegnano a collaborare rigorosamente all’applicazione delle leggi esistenti, al miglioramento del complesso normativo e alla sensibilizzazione della cittadinanza. L’associazionismo è una delle forme più alte di partecipazione responsabile alla gestione del patrimonio materiale e morale della comunità. Non ci sembra risponda a questi fini la gestione privata e spontaneistica, con o senza vantaggi, di pubbliche questioni e funzioni. Meno ancora ci sembra contemplata la sostanziale devoluzione dei fondi pubblici e delle pubbliche professionalità all’allestimento di veri e propri magazzini di animali di seconda mano, a disposizione di chi voglia prelevarne sistematicamente lotti da destinare al commercio sui mercati esteri (un commercio di sicura redditività, vista la gratuità – almeno ufficiale – del prelievo).
Di queste considerazioni sono forzatamente destinatarie anche le istituzioni, in particolare i Comuni, che in collaborazione con le autorità sanitarie sono i primi custodi e i primi esecutori della legge. Non siamo i soli a osservare quanto spesso i Comuni, a causa delle urgenze finanziarie, dello scarso appoggio legislativo e – spesso – di una mancata comprensione del problema, che ha spinto a sottovalutare le conseguenze di un comportamento negligente, eludano i loro compiti o abdichino decisamente al loro ruolo. Le leggi di tutela degli animali hanno bisogno, è vero, delle istituzioni per funzionare. Ma le istituzioni funzionano a loro volta se fruiscono della collaborazione, e all’occasione del controllo, del pungolo e della protesta fattiva dei cittadini. Che la tutela degli animali sia una difficile battaglia non è una novità: non ce ne occupiamo per divertimento né per placare, costi quel che costi, un impulso sentimentale, ma per rispetto degli animali e dei loro diritti, cioè per rispetto degli uomini e della società. È una battaglia di civiltà che può non essere di rapida risoluzione, ma dà certo migliori risultati se sono i cittadini, e soprattutto coloro che si impegnano ufficialmente, a non abdicare al loro ruolo: senza, che sia ben chiaro, approfittarne per accarezzare l’inerzia delle istituzioni col promettere di alleggerirle dei loro oneri, in realtà dei loro diritti e competenze. In questo consiste la nostra funzione pubblica, che va automaticamente in contrasto con qualsiasi prospettiva di gestione non chiara e non rigorosa del destino degli animali che ci sono affidati.
Se intendiamo assolvere a questa funzione senza facilonerie, scorciatoie o compromessi; se evitiamo di contribuire, a un ritmo che solo localmente sembra più o meno spicciolo, a ingrossare l’onda di un’oscura esportazione di massa; se rifiutiamo di ripararci dai nostri doveri dietro quel sentire subordinato e provinciale che molti si ostinano a coltivare contro ogni ragionevole verosimiglianza, UNA Civitanova è d’accordo. Certamente non è d’accordo con coloro che si rassegnano (o, peggio, si prestano) a svolgere il ruolo di chi fa svuotare la propria soffitta dai rigattieri del randagismo.
UNA Civitanova
Wilma Maria Criscuoli
http://www.unacivitanova.altervista.org/comunicato_unacivitanova.html
Ma c’è, sempre sul piano ufficiale, una diversità più profonda: al pari di altri Paesi, la Germania, in armonia con le esigenze del suo modello di sviluppo economico, lascia un enorme spazio gestionale al settore privato e alle logiche di mercato; in Italia invece qualunque attività che si definisca di tutela degli animali discende, è riconducibile a – o è controllata da – una funzione PUBBLICA. Tutto ciò non è, non deve essere per noi senza significato. Anche se nella pratica non possiamo non constatare che il modello “europeo” dell’impresa privata, con il suo peso, le sue seduzioni e i suoi ricatti, passa agevolmente le frontiere, affascina gli impreparati e attira gli intraprendenti, scivola e s’insinua fra le pieghe della legge e al bisogno la elude, riuscendo a creare anche alleanze insospettate grazie alle scorciatoie che propone a istituzioni pubbliche alle prese con doveri scomodi. E parliamo, tanto per esser chiari, del frequente abbandono degli animali tanto a gestori privati con pochi scrupoli quanto a raggruppamenti improvvisati, privi di retroterra culturale e di senso della legalità: soggetti, tutti, che per una ragione o per l’altra finiscono per divenire validi collaboratori del saccheggio organizzato del nostro territorio e del nostro prezioso patrimonio legislativo.
In verità, chi si presenta dall’estero a prelevare carichi di animali conserva in genere un approccio abbastanza disinvolto alle leggi del suo proprio Paese, per non parlare di quelle europee; e una voluta, pervicace noncuranza (da trasformare all’occorrenza in disprezzo palese e impunito…) verso le regole del Paese di rifornimento. Perché dovrebbe essere altrimenti, quando l’esempio viene da chi dovrebbe rispettarle e farle rispettare? Ciononostante, ci è capitato d’imbatterci in lamentele come questa: “Con un po’ di difficoltà abbiamo risolto le formalità che si devono seguire per lo Stato italiano se si vogliono portare cani all'estero (formalità che si devono seguire in tutta l’Unione Europea, N.d.R.). È strano. Se i cani in Italia crepano, non importa a nessuno, ma se devono andare in Germania, allora si creano problemi a non finire agli animalisti tedeschi” (Tierrundschau – Zeitung der Tierschutzliga Deutschland, 61). Messa da parte l’ovvia destinazione a un pubblico disinformato, rimane il mugugno sprezzante perfino su quello che è in realtà l’escamotage paradossalmente più “legale” praticato nei prelievi: l’affido, formalmente ineccepibile se estrapolato dal contesto, a persone fisiche che ne beneficiano come privati cittadini, per poi però tornare in patria come semplici prestanome delle loro organizzazioni e destinare l’animale alla vendita. Il tutto in dispregio dell’unica legge che regoli il movimento NON COMMERCIALE degli animali da compagnia: il Regolamento Europeo 998/2003, che è quello che si applica agli spostamenti nel territorio dell’Unione di qualunque proprietario con l’animale che gli appartiene e che è destinato a vivere con lui. Fino a quando si vuol continuare a rifutare di ammettere che questi affidi, atti pubblici nel nostro Paese, sono la maschera italiana di un commercio normalmente praticato all’estero: una maschera necessaria solo finché ci si trova sul nostro territorio?
Ma perché stupirci? Il “sistema europeo”, tutto privato e incontrollato, impera già in Italia nel vorticoso movimento di animali che non di rado confluisce nei canali di esportazione: nei trasferimenti disinvolti dal Sud al Nord e non solo, dall’estero all’Italia e non solo, con l’impiego di prestanome, microchippature occasionali, libretti sanitari di fortuna, staffette, punti di raccolta e stallo, smistamenti ai caselli autostradali, destino spesso incerto – e non di rado pericoloso – per gli animali. Basta fare un giro fra appelli e corrispondenze dei cosiddetti “volontari” per rendersi conto che si tratta di vere e proprie attività, con un impiego quasi totale del tempo di chi vi si dedica. Ma sono attività che lasciano il randagismo al Sud sempre nuovo e sempre immutato come la tela di Penelope, e, per dirla tutta, siamo giunti a domandarci se abbiano anche un rapporto con il recente, improvviso impennarsi degli ingressi nei canili del centro-nord. La buttiamo lì: siamo sicuri che se questi cani potessero parlare parlerebbero con l’accento del luogo…?
C’è una qualche forma di commercio anche dietro tutto ciò? Non lo sappiamo (se sì, non sappiamo in che misura e percentuale): altro non possiamo dire per ora. Ciò che ci colpisce, anche e soprattutto nei non pochi della cui buona fede non vogliamo dubitare, è la sostituzione totale di una formazione professionale, giuridica e civica con una spinta autoreferenziale di improvvisazione e di impreparazione che li porta purtroppo a collaborare, più o meno inconsapevolmente, con organizzazioni ben più coscienti di ciò che fanno.
Solo un esempio recente: la femmina incrocio collie paraplegica, chiamata Cipollina, ospitata fino a qualche tempo fa nel rifugio di Tolentino di nuova gestione. Dopo molti appelli in rete e dopo contatti procurati, sembra, da generosi intermediari, “il miracolo è avvenuto”: la cagna è stata portata tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo (con procedura diretta di affido, e a chi? o con passaggi d’intestazione successivi?) in “una meravigliosa oasi nella Maremma toscana, gestita da una signora tedesca che ospita solo animali menomati fisicamente… Insomma… per Cipollina c’è stato il lieto fine” (Corriere Adriatico). Per la cronaca, la signora in questione gestisce in realtà uno dei più grandi punti di raccolta a fini di esportazione dell’Italia centrale, che incamera e smista animali giovani e anziani, sani e malati, da buona parte del territorio nazionale, dalla Spagna e dall’Est, e si qualifica “partner operante in collaborazione” con la potente ETN, l’organizzazione tedesca che ha lanciato di recente, in sostegno alle esportazioni, una vasta e violenta campagna contro l’Italia. Per inciso, l’ETN era destinataria di uno dei più grossi carichi di randagi spagnoli fermati recentemente in Germania per le spaventose condizioni di trasporto e per gli illeciti nella documentazione. Ora, chi si è messo in contatto con la suddetta signora per averne visto, come dichiara, il sito web non poteva ignorare di che cosa si occupasse. Vorremmo con tutto il cuore che ignorasse che la signora, mentre dava risposta favorevole al suo appello, diffondeva dati, storia e foto della cagna ai suoi collaboratori a nord delle Alpi, dichiarando lacrimevolmente di non potersi accollare tutti i casi di emergenza che le si presentano. Lo vorremmo, perché se così non fosse ci si dovrebbe chiedere perché mai abbia riferito alla stampa che la vicenda di Cipollina aveva trovato in Toscana un lieto fine e non magari una rapida tappa di transito. Forse ignora comunque, o forse no, che la signora non si è trattenuta dall’esprimere ai suoi partner – come da copione – apprezzamenti poco lusinghieri, ma molto funzionali all’uopo, sulle cure prestate all’animale dalla Facoltà di Veterinaria di Camerino e sul canile stesso di Tolentino. Questo è in genere il preludio degli attingimenti – o forse non è già più un preludio? Solo il canile di Tolentino può dirlo. Certo, a questo punto saremmo curiosi di sapere dove sia Cipollina, che non compare nei pur quasi quotidiani aggiornamenti in rete degli ingressi nella meravigliosa oasi; e, qualora fosse lì, se e quanto vi resterà. Ma questa, della quale, ripetiamo, il caso è solo un esempio, è materia spettante a chi è investito della pubblica funzione di tutela degli animali e semmai, per sua delega, a chi più direttamente deve occuparsi dell’applicazione saggia e corretta della lettera e dello spirito della normativa.
Giacché, sia chiaro, l’adozione internazionale non è preclusa, ferme restando l’autonomia decisionale di Regioni, Province e Comuni e la valutazione degli addetti al benessere degli animali tenuti in custodia. Deve trattarsi, s’intende, di adozione: cioè dell’affido, integrato dai necessari e reali controlli di cui si fa promotrice la circolare Veronesi del 2001, a persona che si presenti sul luogo e sottoscriva l’impegno a prendere con sé – definitivamente e senza secondi fini – e a detenere presso il proprio domicilio l’animale desiderato, trattandolo secondo i suoi bisogni materiali ed etologici.
È al fine del benessere animale, di cui è parte l’affido responsabile, che la comunità, tramite le istituzioni, investe pubblico denaro, pubbliche energie e pubblica progettualità. A questo stesso fine si costituiscono associazioni senza fini di lucro, che con l’atto stesso dell’iscrizione agli Albi regionali si impegnano a collaborare rigorosamente all’applicazione delle leggi esistenti, al miglioramento del complesso normativo e alla sensibilizzazione della cittadinanza. L’associazionismo è una delle forme più alte di partecipazione responsabile alla gestione del patrimonio materiale e morale della comunità. Non ci sembra risponda a questi fini la gestione privata e spontaneistica, con o senza vantaggi, di pubbliche questioni e funzioni. Meno ancora ci sembra contemplata la sostanziale devoluzione dei fondi pubblici e delle pubbliche professionalità all’allestimento di veri e propri magazzini di animali di seconda mano, a disposizione di chi voglia prelevarne sistematicamente lotti da destinare al commercio sui mercati esteri (un commercio di sicura redditività, vista la gratuità – almeno ufficiale – del prelievo).
Di queste considerazioni sono forzatamente destinatarie anche le istituzioni, in particolare i Comuni, che in collaborazione con le autorità sanitarie sono i primi custodi e i primi esecutori della legge. Non siamo i soli a osservare quanto spesso i Comuni, a causa delle urgenze finanziarie, dello scarso appoggio legislativo e – spesso – di una mancata comprensione del problema, che ha spinto a sottovalutare le conseguenze di un comportamento negligente, eludano i loro compiti o abdichino decisamente al loro ruolo. Le leggi di tutela degli animali hanno bisogno, è vero, delle istituzioni per funzionare. Ma le istituzioni funzionano a loro volta se fruiscono della collaborazione, e all’occasione del controllo, del pungolo e della protesta fattiva dei cittadini. Che la tutela degli animali sia una difficile battaglia non è una novità: non ce ne occupiamo per divertimento né per placare, costi quel che costi, un impulso sentimentale, ma per rispetto degli animali e dei loro diritti, cioè per rispetto degli uomini e della società. È una battaglia di civiltà che può non essere di rapida risoluzione, ma dà certo migliori risultati se sono i cittadini, e soprattutto coloro che si impegnano ufficialmente, a non abdicare al loro ruolo: senza, che sia ben chiaro, approfittarne per accarezzare l’inerzia delle istituzioni col promettere di alleggerirle dei loro oneri, in realtà dei loro diritti e competenze. In questo consiste la nostra funzione pubblica, che va automaticamente in contrasto con qualsiasi prospettiva di gestione non chiara e non rigorosa del destino degli animali che ci sono affidati.
Se intendiamo assolvere a questa funzione senza facilonerie, scorciatoie o compromessi; se evitiamo di contribuire, a un ritmo che solo localmente sembra più o meno spicciolo, a ingrossare l’onda di un’oscura esportazione di massa; se rifiutiamo di ripararci dai nostri doveri dietro quel sentire subordinato e provinciale che molti si ostinano a coltivare contro ogni ragionevole verosimiglianza, UNA Civitanova è d’accordo. Certamente non è d’accordo con coloro che si rassegnano (o, peggio, si prestano) a svolgere il ruolo di chi fa svuotare la propria soffitta dai rigattieri del randagismo.
UNA Civitanova
Wilma Maria Criscuoli
http://www.unacivitanova.altervista.org/comunicato_unacivitanova.html
6 commenti:
Certo è difficile commentare. Succede quando un discorso è così completo e strutturato: sembra che non vi sia nulla da dire oltre. Ma non è mai così, c'è sempre qualcos'altro da dire, e crediamo che UNA Civitanova, che ringraziamo, abbia voluto fare il punto e rilanciare molti stimoli combinando questa superba analisi con incursioni acute nelle realtà locali - che poi sono quelle che compongono il quadro totale se le si sa mettere insieme. Vigiliamo, segnaliamo.
Una piccola soddisfazione per noi di Tracce Diverse: vediamo in più parti di questo saggio che il nostro lavoro è stato utile, e questo ci impegna a continuare.
E un altro paio di piccole osservazioni. Prima di tutto guardiamoci dal pensare che questo scritto rappresenti una lezioncina per il Ministero, perché il Ministero queste cose le sa, eccome. Semmai serve a dire che sappiamo che sa e che non siamo disposti ad accettare...
E poi: dov'è, o dove sarà fra un po' Cipollina?
Cipollina abbandonata da chi condanna sempre gli abbandoni degli altri. Cipollina, viaggiatore forzato verso un'emisfero a lei estraneo. Cipollina rifiutata da quel rifugio ad "hoc" nel quale è vissuta sin dalla nascita. Andate a spiegare ad un cane di 11 anni che in quel canile non si poteva perder tempo a starle dietro e cercate di capire attraverso i suoi occhi che forse al posto di quel "meraviglioso paradiso toscano" forse avrebbe preferito continuare a vivere in quel "povero ma conosciuto purgatorio marchigiano" Vergogna.
Hai ragione Aquila.
Ho conosciuto l'8 marzo di quest'anno Cipollina nel rifugio ad Arezzo dove è stata portata. Ho spedito le sue foto a tra.samir@yahoo.it . Se le vorrà pubblicare si renderà un pò di giustizia a questo cane e a chi l'ha accolta.
In particolare ho inviato la foto di lei e del carrellino che le hanno comprato. Il rifugio è di una tedesca accusata di "Traffici" di randagi. Ci sono andata senza avvisare perchè volevo sapere.
Ebbene ci ho trovato due veterinari con quella signora che parlavano delle terapie da fare e dei costi (alti) da sostenere.
Sinceramente non mi è parsa nelle mani di feroci aguzzini. Anzi invito tutti a vedere quel rifugio perchè uno più bello non l'ho mai visto (nella mia vita ne ho visitati una decina tra pubblici e privati).
Però ringhio io conoscoil tedesco e le leggi citate le conosco. Perciò magari il racconto che fanno questi di UNA è argomentato la visione generale di quelle leggi non ce l'hanno: forse ne hanno fatto la traduzione con Google...
Mi incombe l'obbligo di informarti che il rifugio in questione si trova a Grosseto.
Quanto alla traduzione con Google... penso proprio di no ;-)))
Come? penultimo anonimo, sei andato a trovare Cipollina e ti scordi pure il paese dove sei stata?. Se sai veramente il tedesco allora leggiti tutto il Tierschutzgesetz prima di parlare, l'ultimo, aggiornato al 2009. Non credo proprio che UNA, che combatte da decenni, si metta a tradurre con google...suppongo abbia persone ben informate e professionali. Per come la conosco io, è propria una delle poche serie in Italia.
Non mi pare che tu conosca bene il tedesco, caro anonimo che non ricordi nemmeno il paesino dove sei stato a trovare Cipollina...prima di parlare bisogna essere sicuri di ciò che si afferma. Un'associazione seria come UNA (una delle poche in Italia quanto a serietà), farebbe un comunicato stampa facendo tradurre alla carlona? Allora forse non vuoi capire...
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