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venerdì 9 aprile 2010

Comunicato UNA Civitanova: I rigattieri del randagismo



Il Coordinamento Associazioni Animaliste della Regione Marche (http://www.caarm.it/) ha pubblicato nel mese di febbraio una lettera di Roberta Benigni dell’Associazione Cinofila Senigalliese: L’Associazione Cinofila Senigalliese e le adozioni internazionali (in Cosa stiamo facendo). L’abbiamo meditata a lungo. Non saremo brevi, ma non è possibile passare sotto silenzio nulla di quanto scrive, proprio perché lo scrive frammentariamente… e ognuna delle sue affermazioni semplici e sicure apre un mondo a sé.

La signora si fa, crediamo di comprendere, portavoce di una proposta della Hundehilfe Hundeherzen e.V. di Maintal (Francoforte), presentata da una sua referente in Italia offertasi come volontaria presso un canile individuato come luogo di attingimento.

Procedimento, questo, piuttosto abituale in tutto il nostro Paese così come in molti altri, solo pochi dei quali (Spagna, Grecia, Romania) sono stati indicati alla o dalla signora Benigni. Ci permettiamo di indicarne noi alcuni altri: Portogallo, Francia (in parte), Polonia, ex-Unione Sovietica, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia, Albania, Turchia, alcuni Paesi dell’Africa settentrionale e centrale, alcuni Paesi latinoamericani, alcuni Paesi asiatici. In più, svariati arcipelaghi oceanici, dei quali alcuni fanno Stato a sé. Destinazione comune: il bacino industrializzato centro e nordeuropeo, con in testa la Germania.

Normalmente l’impianto della missione avviene in più fasi, che sono state succintamente ma esaurientemente illustrate dalla sig.ra Benigni: 1) si individuano la zona e uno o più canili, a seconda della disponibilità di referenti in loco; 2) si manifesta sconcerto e orrore per la situazione del canile (anche quando richieda solo miglioramenti e, per la verità, anche quando non ne richieda affatto) e in genere per la situazione del Paese (per l’Italia le stesse caratteristiche accomunano Lombardia e Sicilia); 3) si offrono aiuti e/o si fanno proposte per una soluzione definitiva dei problemi; 4) si invitano una o più persone del luogo in Germania per una visita guidata su un piccolo campione dell’attività e per dare loro un messaggio dai contenuti limitati, semplici e suggestivi (il viaggio è solitamente pagato dalla Germania, ma questo è facoltativo). Tale invito può avvenire in fase preparatoria o in un secondo momento, in presenza di eventuali dubbi, incertezze o tendenze verso altre direzioni. S’intende che le persone invitate sono già state individuate come suscettibili d’essere facilmente convinte o perché già incuriosite dall’idea, o perché impreparate a un esame serio della questione, o per entrambe le cose. Saranno loro poi a fare il resto al ritorno.

Non c’è da stupirsi né da scandalizzarsi. È il meccanismo della promozione, che incontriamo ogni giorno nei media e nella vita quotidiana. La promozione si differenzia dall’informazione perché le è necessaria la distorsione della realtà. Se voglio pubblicizzare un prodotto non posso dire che è buono: devo dire che è miracoloso. Non posso dire che è migliore di altri: devo dire che gli altri sono inefficaci, antiquati, possibilmente sbagliati, insinuando l’idea che siano un retaggio di costumi d’altri tempi (sottinteso: fuori della civiltà moderna) e magari anche che ci sia dietro qualcosa di poco chiaro. Non posso dire che aiuterà a risolvere un problema: devo dire che è la soluzione immediata e sicura. Devo farlo planare da un mondo superiore come una generosa offerta di salvezza, fatta per il bene di chi mi ascolta. Meglio se aggiungo premi fedeltà, forniture omaggio, buoni spesa. Se il messaggio è ripetuto e martellante l’effetto è garantito. Qualcuno capisce il meccanismo, ma viene catturato senza volerlo. Altri stanno al gioco valutando le opportunità. Molti ci credono incondizionatamente, al di fuori della logica e del buon senso.
La promozione è parte integrante e indispensabile di un’attività commerciale. Non scandalizziamoci neanche di questo. Tutto è oggetto di commercio e gli animali non fanno eccezione. Si commerciano cani di alto allevamento (pochi esemplari a costo alto, commercio moderatamente redditizio); scendendo via via, si commerciano cani “di razza” prodotti a catena nelle puppy mills (quantità più alta, prezzo più basso, commercio in sé legale ma sempre più aperto a procedimenti disinvolti perché piuttosto redditizio). Questi commerci hanno comunque dei costi di produzione: perciò, com’è naturale, si cerca di diminuirli o anche di azzerarli. E allora si commerciano cani “di razza” o similrazza (il che è lo stesso a questo livello di mercato) presi dalla strada, da proprietari annoiati o impossibilitati, da canili e stalli. E poi si commerciano cani qualunque, a costo d’origine ridottissimo o inesistente (dunque a guadagno garantito, poiché si gioca normalmente sulla quantità).

Non diciamo nulla di eccezionale. Questa attività è normale in tutta Europa. Le organizzazioni nate dagli anni ’80 in grandissimo numero sia in Germania, dopo la promulgazione del Tierschutzgesetz (legge di tutela degli animali), sia in altri Paesi dell’Europa industrializzata possono ottenere regolari licenze di commercio di randagi importati dall’estero. Non per nulla si è dato il caso in cui alcune di esse, impiantatesi in Italia, per la forza dell’abitudine si sono registrate non all’Albo regionale delle associazioni, ma alla locale Camera di Commercio.

Queste organizzazioni o imprese agiscono in una fascia di mercato dai contorni ambigui, e perciò oggetto di attenzione e di ripetuti interventi da parte delle istituzioni finanziarie, giudiziarie e sanitarie tedesche, soprattutto per i carichi di animali portati regolarmente e incessantemente dall’estero (200.000 l’anno secondo stime tedesche del 2003, dai 350.000 ai 400.000 secondo stime, sempre tedesche, del 2009: stime, s’intende, riferite solo ai dati “visibili”). Come ha riferito ufficialmente la TVT – Tierärztliche Vereinigung für Tierschutz nel rapporto sull’importazione di cani in Germania dal Sud e dall’Est europeo (Merkblatt 113: Hundeimporte aus Süd- und Osteuropa), “l’incremento continuo di cani che arrivano regolarmente dall’Europa del Sud e dell’Est fa pensare che sotto la copertura della protezione animale venga fatto commercio di cani”: dove il sospetto non è tanto sul commercio quanto sull’uso della qualifica di protezione animale, che apre molte vie e facilitazioni anche finanziarie (grazie alle raccolte di offerte) e consente di muoversi in un largo e proficuo settore di economia del sommerso. Sul prezzo di vendita dei cani (quello che chiamano Tierschutzgebühr) le organizzazioni pagano allo Stato tedesco un’IVA (Umsatzteuer) del 7%, che è quella relativa alla fornitura di beni di consumo e servizi. Ciò significa anche, naturalmente, che le spese sostenute all’estero possono essere scaricate. Il resto lo fa la quantità. Si ricordi del resto che solo in parte le organizzazioni tedesche che si definiscono di protezione animale sono onlus: a molte altre, come emerge dalle analisi delle autorità finanziarie tedesche, il pubblico medio tributa offerte scoprendo solo troppo tardi che non potrà mai dedurle dalle imposte.

È un settore di lavoro inventivo e adattabile, che consente di trovare rapidi sbocchi occupazionali e di fare progressi altrettanto rapidi grazie alla facile disponibilità della merce, e può portare molto lontano se si è dotati di iniziativa. Normalmente si parte dal poco (ambito familiare o di piccolo gruppo) prelevando da un solo Paese, per poi compiere il salto di qualità appena consentito dalle possibilità d’investimento. Sembra trovarsi in questa fase Hundehilfe Hundeherzen che, conservando un sicuro centro di rifornimento a Sahagún e altrove in Spagna e prendendo qualche cosa anche all’Est, ha trovato una nuova fonte nel canile di Senigallia (giacché i prelievi sono già in corso da qualche tempo. Alla data di oggi, partiti di recente almeno Azzurra e Sofia, stanno per partire almeno Kira, Lola, Pisellino e Max. Chissà se, presentandosi un normale adottante locale, gli verrebbero dati?). Ora si propone di ottimizzare la presenza sul territorio pubblicizzandosi presso altre associazioni (e altri punti di raccolta) attraverso il CAARM. Come si è detto, normale promozione.

È il momento dunque di venire alla questione e di esaminare i termini in cui ci si invita, attraverso un testimonial che è la signora Benigni dell’Associazione Cinofila Senigalliese, ad avere un ruolo in tutto questo. Ed è perciò anche il momento di chiederci qual è in assoluto il ruolo di chi si occupa in Italia di tutela degli animali, anzi in che cosa consista nel nostro Paese una tutela degli animali seria e professionale (giacché la professionalità è richiesta in ogni tipo di attività, anche gratuita e benevola, e significa preparazione, informazione, rigore e coerenza).

Ci si consentirà allora di osservare, analizzando col necessario distacco le dichiarazioni che ci sono trasmesse, che quanto scrive la signora Benigni difetta di informazione, poiché è ora di rendersi conto che le Marche, volenti o nolenti, fanno parte integrante di un orizzonte molto più vasto e che questo non si può comprendere limitandosi a guardare il canile di Bartozzi e ascoltando tutto ciò che ci viene detto solo perché chi lo dice viene da un altro Paese. Ogni sorta di informazione è oggi a nostra disposizione in tempo reale e tenerci aggiornati è un dovere nei confronti del ruolo che rivestiamo. Le barriere linguistiche non sono più una giustificazione, perché nei siti, nella stampa e nella legislazione tedesca c’è tutto, ma proprio tutto… grazie, talvolta, alla certezza che nessuno fuori della Germania andrà a leggere.

La signora Benigni si domanda cosa spinga una famiglia tedesca a prendere un cane dall’estero. Qualche volta si rimane sconcertati nel constatare quanto in questo campo, sotto l’impulso del sentimento, si dimentichino il giudizio e la prudenza che pure usiamo nella vita quotidiana. Non sarebbe più proficuo domandarsi, prima, cosa spinga tante organizzazioni tedesche ad andare a cercare cani in tanti Paesi esteri con tanta pervicacia, al punto da fondare su questo le ragioni della loro nascita ed esistenza, e a proporli sul mercato tedesco con una pubblicità insistita che arriva ovunque, anche presso un certo numero di famiglie? Oppure vogliamo credere che il popolo tedesco si sia data la missione di correre in aiuto dei cani degli altri Paesi?

Sembra una facile battuta… invece è proprio ciò che è stato dato come informazione alla signora Benigni. La “consapevolezza che ci siano canili e situazioni in Europa peggiori dei canili tedeschi… spinge famiglie tedesche a scegliere un cane dall’estero”. Con buona pace dei cani dei canili tedeschi, l’80% dei quali, si riferisce candidamente, sarebbe portato dai proprietari, mentre il 20% sarebbe abbandonato. Cioè: il 100% sarebbe stato buttato fuori di casa in un modo o nell’altro. Questo non le dice niente? Però le famiglie tedesche si precipitano a dare una casa ai cani esteri…

È un difetto di logica che balza agli occhi anche nelle affermazioni di appoggio a questa. “Noi abbiamo troppi cani”, e questo, unito alla pietà per le loro condizioni, spinge le famiglie tedesche ecc. ecc. Ma poi? “È un po’ quello che accade da noi: conosco volontari di associazioni locali che pur conoscendo situazioni di emergenza in Italia scelgono un cane dalla Spagna o dalla Romania, dato che là spesso stanno peggio o rischiano la morte anche violentemente”. Dunque associazioni marchigiane (e non) importano cani dalla Spagna e da altrove perché lì rischiano la morte… ma in Italia ci sono troppi cani! Quindi interverrebbe a sua volta la Germania importando i cani italiani. Dunque si salvano i cani spagnoli dalla morte e intanto si esportano i nostri in un Paese in cui vige la soppressione come uno dei mezzi principali di limitazione della popolazione canina. E in cui, come sanno tutti in Germania e ormai quasi tutti in Italia, 519 rifugi afferenti al Deutsche Tierschutzbund, l’Ente qualificato di pubblica utilità che coordina più di 700 associazioni di protezione animale, sono stracolmi e in piena crisi, al punto che si è rivolto l’anno scorso un appello ufficiale al Governo federale in previsione del prossimo fatale collasso delle attività. Ancora in questi giorni si moltiplicano gli appelli di rifugi allo stremo. In effetti, verrebbe da dire, è vero che quello che accade in Germania “è un po’ quello che accade da noi”… solo che per questo curioso effetto domino, apparentemente così privo di senso, per il quale tanti animali sono importati da più Paesi in questa disastrata Italia e tanti altri ne rimbalzano da qui in Germania (non senza essere spesso accompagnati dai loro confratelli immigrati), bisognerà trovare una spiegazione che non sia quella promozionale ammannita alla signora Benigni.

(continua)
http://www.unacivitanova.altervista.org/comunicato_unacivitanova.html

2 commenti:

Aquila Nera ha detto...

Ma questa signora Benigni, che mi sembra aver capito gestisce un'associazione di protezione animale a Senigallia, si è forse bevuta il cervello? Come responsabile di un'associazione di protezione animale non sarebbe più logico per lei battersi affinchè hli animali rimangano in Italia ove possono essere effettuati controlli sulle adozioni, d'altronde previste per legge, invece di paventare "paradisi stranieri" ai quali nemmeno il più imbecille degli umani crederebbe? Cosa mai vorrebbe dimostrare con le sue asserzioni che degli stranieri, oltre che farsi carico dei randagi del proprio Paese, e stando a comunicati tedeschi in germania vi sono 519 canili strapieni, pensano anche a sfamare, curare ed amare milioni di cani stranieri? Dio solo sa quanto noi vorremmo crederci. Ed allora per tapparci le bocche le suggerisco di iniziare a fornirci pubblicamente nomi, cognomi ed indirizzi degli adottanti animali stranieri. Ma lo faccia con urgenza, altrimenti rischia di passare per una "chiacchierona" e poi, data la sua qualifica dovrebbe ben conoscere l'ordinanza veronesi che spiega a vele spiegate che il benessere dei randagi inizia dal controllo nei canili e finisce con il controllo delle famiglie adottanti.

Anonimo ha detto...

A mio avviso gli animali finiscono nei laboratori di vivisezione